domenica 2 maggio 2021

LANE MEMORY

20 anni fa, mentre ero in un negozio di dischi (mi pare a Roma, via Nazionale, verso piazza Esedra) trovai un disco che mi incuriosì: era Sex O’Clock di Anita Lane (suo secondo disco da sola), che avevo sentito nominare riguardo a Nick Cave, ma oltre al nome e al bel titolo mi intrigava il fatto che tra le canzoni c’era elencata… Bella ciao! Che ci fa un canto partigiano nel disco di una indie australiana, con tailleur celeste e copertina da elettronica francese?


Mi feci convincere, lo comprai e feci bene: era un bel disco effettivamente francese - in quel periodo scoprivo Gainsbourg e in effetti ricordava il periodo Melody Nelson, anche perché Mick Harvey, che arrangiava e suonava, è anche lui amante del cantante francese. Bella ciao, invece, era effettivamente quella nostra, resa in una versione lenta e suggestiva (e tradotta in inglese). All’epoca scrivevo per il defunto sito napster.it e colsi l’occasione per una tripla recensione al femminile (le altre due erano Nada e Tori Amos), anche se di differenza ne so poco ora e ancor meno allora (a rileggerle, però, meglio di quanto temessi).

La cosa buffa fu quando la feci sentire al mio amico e allora coinquilino Sergio, appassionato tra le altre cose di musica popolare, che apprezzò molto la versione e il disco in generale; così andò in rete a cercare notizie su di lei: ce n’erano poche ma a un certo punto trovò qualcuno che ne parlava: non fece in tempo a dire “ma allora oltre a me e Giulio…” che si accorse che era la mia recensione, che qualcuno aveva copiato e messo sul suo blog (col mio nome, per fortuna: grazie).

In realtà l’amavamo in tanti: peccato non averla mai vista dal vivo e non averglielo potuto dire di persona.

Intanto, a ridosso delle feste rosse, riascoltiamola:





Questa, invece, era la tripla recensione, così com’era

(si vede che è del 2001, quando l’idolo polemico per colpire il pop da classifica era Britney Spears; si vede che avevo 20 anni di scrittura in meno, con le ingenuità e le precisazioni rivolte a un pubblico generalista):


QUELLO CHE LE DONNE DICONO


Nada, Tori Amos, e Anita Lane non hanno bisogno di ricorrere a Enrico Ruggeri per parlare di sé e del loro essere donne in termini espliciti, consapevoli e lontani dai luoghi comuni. Tre ottimi dischi di tre grandi artiste.


NADA: L'amore è fortissimo e il corpo no


In effetti, per dare voce ai suoi sentimenti più intimi l'artista livornese ha avuto bisogno all'inizio di un aiuto maschile; ma l'uomo in questione era Piero Ciampi, uno dei più raffinati e sensibili cantautori italiani, scomparso ormai 22 anni fa. Furono infatti lui e il suo fido collaboratore Gianni Marchetti a comporre e produrre Ho scoperto che esisto anch'io, il disco con cui nel 1973 Nada cominciò a cercare di togliersi di dosso l'immagine da Britney Spears di allora che le avevano cucito addosso i discografici.

Nada allora era una divetta da Sanremo; e il disco, che è un autentico capolavoro, ovviamente non ebbe granché successo: troppo diverso dai suoi binari usuali fino a quel momento. Dopo si è alternata tra il pop leggero e progetti più impegnativi, giungendo con il penultimo Dove sei sei (che conteneva Guardami negli occhi, con la  quale partecipò a Sanremo '99) e questo ultimo lavoro a una piena maturità anche come autrice.

Nel disco, infatti, Nada tratta con mano salda un ventaglio di sentimenti, umori e temi tipici di una donna che ha vissuto intensamente, che scava nelle proprie esperienze per raccontarcele senza mediazioni. Esemplare in questo senso è Meraviglioso, sorta di punk in stile CSI con un testo che dimostra che Nada non ha paura di affrontare in termini franchi argomenti anche spinosi,come il rapporto di conflitto con i genitori e il sesso (in fondo "L'amore è fortissimo e il corpo no"); contravvenendo in questo caso alle convinzioni bigotte del mondo del pop che vorrebbero che una signora non toccasse certi argomenti (ma Nada in questo senso si era già espressa: dai doppi sensi di Ti stringerò (1980) e Vieni mai alla ben più esplicita Glu glu, entrambe dal penultimo).

A parte l'iniziale parabola di Gesù (il personalissimo rapporto con la religione è uno dei temi ricorrenti del disco) il resto è un viaggio nell'universo femminile, sia suo personale che generale. Conosciamo così Giulia, che pensa che "Dio è scarico"; ascoltiamo l'autrice nei momenti disperati di un amore finito (Suonano alla porta) o in quelli sereni ("Grazie per avermi spezzato il cuore, per avermi anche amata nel momento migliore"), o mentre con piglio di bambina invita a una danza leggera, o mentre si chiede "In generale dove ho sbagliato? Tra un ramo che si spezza e una donna che si lancia da una finestra che cosa ci passa?". 

Alla fine, con l'ultima canzone, Nada domanda "La vuoi questa donna?", completando così questo ritratto sfaccettato e coraggioso di una femminilità insieme antica e nuova. Nella speranza che i "sì" siano numerosissimi ...


ANITA LANE: Sex o'clock


Su un morbido tappeto musicale che richiama certi dischi di Serge Gainsbourg, Anita Lane torna a parlarci di sé dopo  il precedente e lontano Dirty Pearl.

Il richiamo al celebre cantante francese scomparso non è casuale: le musiche di questo disco sono opera (eccettuate tre covers) di Mick Harvey, storico collaboratore di Nick Cave (per inciso, ex-fidanzato della Lane) e titolare di due album di tributo a Gainsbourg nei quali traduceva in inglese numerosi suoi classici. A questi due dischi aveva partecipato attivamente la stessa Anita Lane, e non è strano rievocare, per un disco in cui il sesso è presente come argomento centrale fin dal titolo, l'autore che scandalizzò il mondo sussurrando "Je t'aime moi non plus" insieme a Jane Birkin (in uno dei due dischi di Harvey ne è presente una versione cantata da Nick Cave e dalla Lane).

In realtà questo disco parla anche d'altro: dell'amore come grande passione fisica ma anche come annullamento di sé (I love you, I am no more);  del senso di estraneità a sé stessi e agli altri (A light possession); della rivendicazione orgogliosa di una propria identità indipendente dai tentativi di sottomissione da parte della persona amata, come in The Next Man I See e, come anche Nada, del rapporto conflittuale con la famiglia (Home is where the hatred is, che è una cover, ma non credo sia un caso se è stata posta in apertura di disco).

E come nel disco di Nada, ci troviamo davanti il ritratto di una donna non comune, che pur senza proclamare grandi rivoluzioni cerca una via personale in un mondo che cerca soltanto schiavi sottomessi, e l'unica differenza che ammette nelle donne è quella di essere schiave.

Dev'essere per questo che il disco si chiude con una cover (in inglese!) di Bella Ciao; non si capisce però, allora, come mai nella traduzione siano sparite le ultime due strofe. Problemi di traduzione? A parte questo la cover, lenta e suggestiva, sebbene sembri più focalizzata sulla morte che sul partigiano, è davvero di rara bellezza, e chiude alla grande un disco notevole, che piacerà a chi si non vuole rassegnarsi a pensare che la "musica al femminile" si limiti alle varie Anastacie, Pausine, Marie Carey, Britneys varie.


TORI AMOS: Strange Little Girls.


Qui la questione della differenza sessuale viene posta esplicitamente. Il disco, infatti, è composto di dodici covers di canzoni scritte da uomini, con l'intenzione deliberata da parte di Tori Amos di rovesciarne il punto di vista. Brani di Neil Young, Depeche Mode, Tom Waits, addirittura Eminem e gli Slayer vengono riletti dalla sua voce limpida e dal suo piano. In alcuni casi, come il brano degli Stranglers che intitola il disco, con risultati superiori all'originale; in altri, ad esempio "Enjoy the Silence" dei Depeche Mode, i risultati sono controversi: personalmente ho apprezzato, altri no.

Va detto che i motivi della scelta di alcuni brani non risultano molto chiari: Heart of Gold di Neil Young o Time di Tom Waits non hanno testi così "maschili" da disorientare se cantati da una donna. Nel caso di Bonnie and Clyde 97 di Eminem e di Raining Blood degli Slayer, invece il contrasto è abbastanza evidente; così come ha un effetto piuttosto straniante sentirle cantare la splendida Real Men, una canzone che analizza i ruoli sociali dei due sessi con cui Joe Jackson dichiarò la propria omosessualità. In I don't like mondays dei Boomtown Rats di Bob Geldof, poi, la protagonista del brano passa semplicemente a parlare in prima persona.

Di Heart of Gold, completamente riarrangiata rispetto all'originale, non si capisce come mai sia stata trattata in modo tale che sembra più I wanna be your dog degli Stooges che non Neil Young; trattamento analogo ma decisamente migliore come risultati, ha ricevuto Happiness is a warm gun, un capolavoro di John Lennon contenuto sul doppio bianco dei Beatles, che è stata trasformata in un lunghissimo brano acido con voci che si rincorrono. Insomma, musicalmente ci troviamo di fronte all'alternanza tra brani sommessi per voce e piano e altri con soluzioni sonore più audaci che è tipica dei suoi dischi.

Nel complesso, Strange Little Girls è un'opera decisamente particolare per concezione, e rappresenta un confronto coraggioso con brani di autori illustri (o quasi: Eminem si può apprezzare, ma definirlo "illustre" ...). Già in passato Tori Amos si era cimentata con brani altrui (ricordiamo una magica Smells like teen spirits dei Nirvana per voce e piano), e questo disco si colloca sia nel suo personale filone di reinterpretazioni che nella sua militanza femminista. E se si può concordare col recensore di www.allmusic.com che l'intento della rilettura di canzoni maschili da un punto di vista femminile emerge chiaro più dalle interviste che non dal disco, è anche vero che ci sembra davvero ingeneroso il suo commento che "questo è un classico disco di Tori Amos, solo meno interessante perché non ha scritto lei le canzoni": e che Lou Reed, Neil Young, Tom Waits, Lennon/Mc Cartney, Loyd Cole e Joe Jackson sono scartine?

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