mercoledì 22 febbraio 2012

L'articolo 18 e le pocce

C'è una specie di gioco che facevano e forse fanno ancora i preadolescenti in tempesta ormonale, che consiste nello sfidare una compagna o amica pettoruta così: "Scommetti che riesco a toccarti le tette senza toccarti né reggiseno né maglia?".
Se la ragazza è sprovveduta, o lascia che la curiosità prevalga sulla prudenza, accetta la sfida, e a quel punto avviene che lo sfidante appoggi le proprie voraci estremità sulle pocce della malcapitata, abbandonandosi a sonora palpata mentre, con sorriso finto-ebete/rassegnato, dice "Ho perso..." (sottointendendo un "ahimè" che non gli passa neanche a tre chilometri dall'anticamera del cervello).
A quel punto parte la sberla, certo, e la sfida è stata persa; ma cosa importa? Cosa importa allo sfidante una scommessa perduta quando tanto ha ottenuto quello che voleva davvero, e cioè una manata di pocce in relativa tranquillità e quasi con l'autorizzazione? Gli interessava davvero qualcosa vincere? No, direi, zero (anche perché nella rapidità dello scambio nulla era stato messo in palio).
Questo giochetto mi è tornato in mente in occasione del dibattito in corso sull'articolo 18, nel corso del quale abbiamo ascoltato ignobili castronerie e infami falsità, di quelle che ti fanno sentire offeso perché ti chiedi "Quanto mi ritieni idiota per pensare che io caschi in un trucchetto misero come questo?".
L'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori NON impedisce di licenziare quando un'azienda è in difficoltà economiche: l'azienda può farlo, la legge glielo permette. Né impedisce di licenziare PER GIUSTA CAUSA: si può, com'è ovvio e giusto che sia.
L'articolo 18, invece, tutela il dipendente dal licenziamento SENZA giusta causa, cioè dall'abuso e dall'arbitrio del datore di lavoro; e lo fa nell'unico modo serio e sensato, cioè IMPONENDO IL REINTEGRO DEL LAVORATORE LICENZIATO INGIUSTAMENTE.
È l'unico modo serio perché, se il datore di lavoro che licenzia ingiustamente fosse costretto solo a pagare un risarcimento in denaro, siamo sicuri che molti datori di lavoro che vogliono togliersi di mezzo sindacalisti e gente che non accetta soprusi su orari, paga e condizioni di sicurezza lo farebbero lo stesso: pagando una tariffa inferiore a quella che ci vorrebbe per un killer otterrebbero comunque il risultato (e senza sporcarsi le mani di sangue - almeno nominalmente), dando contemporaneamente un segnale a tutti gli altri dipendenti; cosa importerebbe loro di essere condannati o di sborsare qualcosa, pur di arrivare all'obiettivo?

Esattamente come il preadolescente con le pocce dell'amica: uguale.

EDIT: lo sapevo che prima di scrivere avrei dovuto rileggere l'art. 18: il quale non stabilisce il reintegro per forza, ma lascia la decisione al giudice del lavoro.
Solo che la sostanza non solo non cambia, ma è anche peggio: cosa si vuole abrogare allora? LA dignità stessa?