mercoledì 7 novembre 2018

I LIBRI DI IPERBOREA: UN DECENNALE


Si avvicina il Pisa Book Festival e, come ogni anno, una delle tappe sarà lo stand di Iperborea, la casa editrice specializzata in letteratura nordeuropea una scelta dei cui romanzi è stata anche pubblicata in edicola di recente.
Conosciuta quando ho notato lo strano formato e il titolo Musica rock da Vittula, il primo che lessi è stato Il figlio del dio del tuono, che mi regalò l’amico Luca per i 40 anni. Da allora, grazie anche allo scambio di opinioni allo stand durante il festival, ho approfondito un po’ la conoscenza di questo mondo, comprando ogni anno uno o due titoli, spesso poi rimasti per un po’ ad attendere.
Quest’anno, però, arrivo al Festival in pari: i libri loro che ho in casa li ho letti tutti, e visto che questo è il decimo anno che andrò allo stand di questo editore mi sembra giusto tirare giù un bilancio sommario (molto sommario) di quanto letto finora.

Partiamo appunto da Musica rock da Vittula di Mikael Niemi: appartiene al filone diciamo comico, nel senso del registro con cui racconta la sua formazione e la sua gioventù. Anche Trash europeo, di Ulf Peter Hallberg, racconta di gioventù e formazione ma con un tono più serio. L’arte di collezionare mosche, di Fredrik Sjoberg, è un libro interessante e divertente - non si limita, ovviamente, all’argomento del titolo. Ha dei seguiti. Piccoli suicidi tra amici è opera della star della casa editrice, il recentemente scomparso Arto Pasilinna, che ha scritto anche Il figlio del dio del tuono che nominavo prima: è un autore che tramite la comicità ritrae satiricamente il suo paese (ma non solo) e il suo tempo: divertente davvero (per me più il primo, ma siamo lì). Sempre al filone dei libri comici appartiene Il blues del rapinatore di Flemming Jensen: non me lo ricordo benissimo ma ricordo che volava leggero.
Riguardo a quelli più seri, neanche Perduto il paradiso di Cees Noteboom mi ricordo benissimo: mi pare di ricordare pagine molto belle, forse un finale sospeso. Nella casa del pianista di Jan Brokken è una biografia del pianista Yuri Egorov: bel libro (anche se un po’ anticomunista per i miei gusti…). Volvo di Erlend Loe non mi aveva colpito molto; non era brutto ma fa parte di un ciclo e senza gli altri si capisce poco. Che ne è stato di te, Buzz Aldrin? Di Johan Harstad ha qualche eccesso di enfasi qua e là ma è veramente un bel libro, con un’atmosfera e un tono peculiari. E ancora più bello è Miraggio 1938 di Kjell Westo, gioco sottile tra ottimamente delineati personaggi sospesi nell’anno di vigilia del titolo.
Chiudendo col migliore e col peggiore, diciamo che forse il più bello tra quelli che ho letto è Il medico di corte di Per Olov Enquist: un romanzo storico che è insieme lucido e attuale ritratto di come funziona il potere (anche se ambientato a fine ‘700) e storia d’amore quasi metafisica - ma anche molto carnale. Consigliatissimo.
Mentre devo dare la maglia nera a Il porto dei sogni incrociati di Bjorn Larsson. Non che manchino le idee o che i personaggi siano mal tratteggiati, anzi: la trama è particolare, i personaggi azzeccati e tutto si svolge coerentemente. Quello che lo rovina sono delle improvvise e ripetute cadute nel sentimentalismo, nella banalità, nella retorica: roba da caricatura dell’idea di letteratura che ha Baricco. Si cade in piedi, certo, però c’erano momenti insopportabili.

In generale, al di là di normali flessioni, comunque un bel leggere davvero: e festeggio volentieri questo decennale invitando ad avvicinarsi, se non proprio allo stand, almeno al catalogo, mentre mi auguro altri 100 anni di letture e conversazioni.