sabato 13 marzo 2010

PRO OPERA SORDIDA – Dirty Work dei Rolling Stones



L’anno in cui cominciai io, il 1982, non era il migliore per innamorarsi dei Rolling Stones: è vero che suonarono in Italia, ma a Torino e Napoli, che per un 13enne che viveva a Roma erano troppo lontane (e poi iniziai poco dopo).

Non era un buon anno anche perché il successivo 1983 portò un disco come Undercover nel quale i pezzi rock, a parte un paio, erano banali e moscetti e quelli migliori erano un reggae e due funky: per la mia rigida idea di “rock” e di “commerciale” questi ultimi due erano troppo in là - come Torino e Napoli, in pratica. Il disco aveva inoltre, e ha tuttora, anche una copertina orrenda, il che non aiutava (questa tenetela a mente).

Un disco che oltretutto non portò neanche un tour, dunque per me buono a niente. In compenso gli anni successivi portavano notizie di liti e di probabile scioglimento della band, cosa che mi angosciava tremendamente perché rischiava di saltarmi il concerto: non li facevano, ma finché c'era il gruppo potevo sperare.

Poi un giorno arrivò l’annuncio di Dirty Work, che non portò il tour lo stesso ma almeno gli Stones, per il momento, esistevano ancora (riuscirò a vederli nel 1990, infine).

Era l’epoca (molto) pre-internet e le cose si sapevano dalle riviste - o dai quotidiani quando ne avevano voglia. A ridosso dell’uscita TuttiFrutti Settimanale, l’opinabile rivista di musica che compravo allora (non molto in sintonia coi miei gusti, in realtà, ma all’epoca a quello arrivavo), fece invece cosa apprezzata pubblicando un’ampia anticipazione del disco (peraltro graziosamente illustrata con i bei disegni del video di Harlem Shuffle), nella quale se ne tessevano lodi annunciandolo come un gran bell’album di rock.

Lo comprai il giorno dell’uscita, cosa che avrei fatto comunque ma che feci molto più volentieri dopo l’articolo, e praticamente lo consumai.

Trovai infatti che un bel disco di rock lo fosse davvero: magari non grande come diceva l’articolo, magari non “il migliore dai tempi di Exile On Main Street” (o Some Girls, ora non ricordo il paragone: con i successivi scoprii che a ogni disco degli Stones i recensori dicono una cosa del genere, salvo poi ribadirla al disco successivo), ma grezzo come da premesse e con svariati pezzi che apprezzai parecchio.

La tesa One Hit (to the body) col bell'attacco cassa-charleston-acustica e lo strano tempo di entrata di tutto il gruppo (tipo Start Me Up), il quasi punk della canzone omonima (con un accenno di jam alla fine e breve insolito rap di Jagger), la cover di Harlem Shuffle Keith-izzata come le loro cover migliori, la delicata, conclusiva Sleep Tonight con dedica a Ian Stewart morto durante le registrazioni: un buon bottino, tutto sommato, non troppo rovinato dalla maniera di Hold Back, Fight e Winning Ugly e condito dai divertenti giochi dub di Too Rude, dal funketto di Back To Zero e dalla grezzata di Had It With You.

Se a queste premesse si aggiunge anche l’età, appare ovvio che il mio giudizio fosse condizionato; ma quando l’ho riascoltato più avanti, ai tempi in cui avevo imparato a riconoscere in modo non soltanto istintivo i suoni commerciali da rock radiofonico anni ’80, non ci avevo trovato grossi obbrobbri: il produttore Steve Lillywhite, famoso per dare alla batteria un suono fragoroso (ascoltare i primi 3 degli U2 per farsi un’idea) e però capace anche di eccessi di pomposità (Sparkle In The Rain dei Simple Minds), qui non lillywhiteggia nemmeno troppo. Toh, qualche splash di rullante e poco altro, ma pienamente nella decenza: per sentire cantanti dei ’60 ammazzati da produttori modaioli 80s rivolgersi a Eric Clapton, al Dylan di Empire Burlesque - e peccato perché i pezzi meritavano, al Bowie di Tonight, ecc…

Mi è sempre risultata perciò piuttosto oscura l’opinione diffusa su questo disco, la quale emerge spesso parlando di musica in rete o altrove: ossia il marchio di infamia suprema che si porta dietro, la nomea di punto più basso della carriera di Jagger e soci, di più ignobile calata di braghe davanti al suono degli anni ’80 e di più ignominiosa caduta nel “commerciale” (secondo le mitologie 1 – dell’artista che a un certo punto “si commercializza”, 2 – degli anni ’80 come gli anni della musica commerciale).

Di solito basta chiedere a chi esprime questi giudizi se ritenga migliore Undercover per trovarsi davanti al silenzio, il che, insieme al fatto che tra gli imperdonabili difetti dell’album si nomini la copertina con le giacche colorate anni ’80 (riecco le copertine), dimostra che molti non sanno di cosa parlano.

Indicarlo come la pietra dello scandalo della discografia degli Stones è infatti per lo meno ingeneroso (soprattutto quando non la si conosce), oppure è appunto segno che o non si è ascoltato davvero il disco o non si conoscono gli altri che lo hanno preceduto e seguito.

Il discorso de “il migliore dai tempi di Exile On Main Street”, ha infatti una sua ragion d’essere nel fatto che Exile è in effetti l’ultimo grande disco degli Stones: i successivi seguono la formula 2-3 pezzi molto belli, qualcuno medio/di maniera e qualcuno proprio brutto. Le proporzioni tra questi 3 gruppi di canzoni in genere determinano il giudizio complessivo sul disco, ma in genere non ci sono grossissime variazioni.

Voglio dire che Dirty Work si colloca all’interno di un filone di opere che non splendono certo di fulgore aureo, è uno dei tanti dischi tardi della band, tra i quali non sfigura, anzi forse è anche tra i meno peggio.

Guardando gli altri, infatti, e ribadendo che in ognuno ci sono almeno un paio di canzoni meritorie, a partire dal ’73 abbiamo il moscetto Goat’s Head Soup, l’affaticato It’s Only Rock’nRoll (ascoltare con che altra grinta suonano l’omonima su Love You Live) anche se migliore degli altri, un caldo Black and Blue (ma basato sulla nuova musica nera pericolosamente vicina alla disco, per chi pensa a “non rock = commerciale”), un Emotional Rescue fiacchissimo come il secondo lato di Tattoo You (eccettuata Waiting On A Friend, ma hanno dovuto farci il video sennò non l’avrebbe ascoltata nessuno, sepolta com’era alla fine di una serie di noiosissimi e mal riusciti soul lenti), il già nominato, alterno Undercover, mentre le grandi lodi tributate a Some Girls non le ho mai capite (qualche tentativo di punk venuto maluccio, un grande singolo come Miss You, una title track banaletta, Beast of Burden che parte come il pezzo più fico e paraculo del mondo e dopo un minuto e mezzo ha già stufato: forse, avendo venduto uno sfracasso, a parlarne bene è un riconoscente ufficio stampa).

Dopo Dirty Work, invece, abbiamo il catalogo dei vari stili-Stones di Steel Wheels, e gli altri 3 che, con una produzione costantemente buona che schiva le cadute del passato, continuano a ripetere lo schema suelencato: 2-3 notevoli, il resto tra maniera carina e maniera anonima.

Come si vede, nulla per cui gridare al miracolo se non pezzi isolati: non a caso il loro disco più apprezzato degli ultimi 30 anni circa è stato Stripped: un live semiacustico nel quale suonano versioni abbastanza fedeli di quei classici di prima fascia e mezzo (non Satisfaction, per capirsi) più la cover di Like a Rolling Stone: non certo la novità ... (tra l’altro: la piantiamo di tradurre l’espressione e il nome del gruppo con “pietra/e che rotola(no)”? Significa “vagabondo”, e si sa da 47 anni circa).

Da qui le mie perplessità. Un conto è Between The Buttons, che nel decennio dei singoli-leggenda e di album come Beggar’s Banquet o Let It Bleed fa la figura del vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro; ma non capisco davvero questo accanirsi su un disco che abita tranquillo vicino a tanti fratelli simili e che tra l’altro provava - magari velleitariamente, ma ci provava – a farla finita con le moscezze produttive che avevano afflitto praticamente tutti i dischi post-’72 (errore che infatti dopo non faranno più) e che, oggettivamente, NON è più "anni '80" o "commerciale" degli altri.

Secondo me è la copertina. Che di regola, però, andrebbe anche aperta…

1 commento:

tore ha detto...

A mio avviso l'uscita di scena di mick taylor ha privato il gruppo di quella vena blues rock ed ha privato e
Penalizzato il gruppo