giovedì 22 maggio 2008

Elegia del rock di provincia - Riciclo 1

Nonostante io scriva col contagocce, ogni tanto mi parte la logorrea, e riesco addirittura ad avere degli articoli, o genericamente degli scritti, inediti.
Se no di solito languo, poltrisco e arranco: così, gli inediti tornano bene, perché da una parte nutrono il blog, dall'altra il blog dà loro la possibilità di essere letti (del tutto teorica: non ho idea del numero di visite che ricevo, ma tra me e Grillo non ci separano solo alcuni punti di vista, mi sa...).

Così, rivogo questo vecchio scritto, in cui tessevo le lodi del rock che ho sempre suonato: quello di base, quello marginale, quello squattrinato (ma mi rifarò con gli interessi: garantito che tra un anno all'Olimpico di Roma ci saranno un centinaro de mila persone adoranti, mettice la firma, che mi degnerò di accontentare solo se avrò finito gli scrutini: sono una persona (quasi) seria io, mica no). L'articolo nasceva da un concerto col gruppo precedente ai due con cui suono ora, in un'estate 2005 che non si era ancora colorata di buio pesto.

Così, eccolo:

CLEVELAND (OHIO) COME VARALLO POMBIA.

"Nel villaggio globale non si è più niente (...) l’unica cosa che ti collega al passato è la terra, dove ci sono le colline che ti osservano, dove ci sono le montagne che dominano, dove il vento soffia, dove ci sono gli alberi e i frutti, dove cresce l’erba. Tutte queste cose sono le uniche che non ti mentono mai" (David Thomas, intervista a Blow Up)

"Il rock consiste per lo più nel trasportare grosse scatole nere da una parte all'altra della città con la macchina" (Pere Ubu)

Sarebbe facile, arrivando per suonare in questo paese del Piemonte tra le colline e i fiumi, credere che qui non conoscano la consapevolezza fatalistica e ironica dei Pere Ubu; o che Ziggy Stardust sia arrivato soltanto come un'altra rockstar qualsiasi lasciando nei boschi circostanti lo specchio che un giorno mise davanti a quelli come lui, togliendogli buona parte dell'innocenza. Facile credere che qui il rock significhi ancora semplicemente corde pelli e valvole per la libertà, una fuga con rivoluzione in pochi accordi.

E' facile pensare che qui in provincia le novità arrivino poco dimenticando, oltre al villaggio globale, anche il fatto che in Italia qualche Michelangelo, se non da Pittsburgh, veniva da un paesino di nome Caravaggio, che il più grande poeta veniva da Recanati e Leonardo veniva da Vinci (e qui a Varallo P., per esempio, ci è nato Bertinotti...).

Quanto al rock, però, se si eccettua qualche cover più recente o più scafata, il nostro gruppo e quello dei ragazzi che gentilmente hanno risparmiato ai nostri amplificatori un viaggio di 400 km. sono sempre sulle covers, e per lo più anni '60-'70 come dei veri provinciali del rock.

Ma la provincia è uno stato mentale che alligna anche nelle metropoli, piene infatti di gruppi come i nostri. E hai voglia a dire che fare musica propria copiando i Television è un passo avanti rispetto a fare covers di Rolling Stones, Lou Reed, Iggy Pop, ecc..: sarà vero, ma non si può neanche dedurne che questa New York musicale sia poi tanto "new".

Provincia come luogo dello spirito, che neanche significa necessariamente conservazione e immobilismo, anche se è vero che ascoltare le canzoni degli Stones ha fatto sognare fughe, ma suonarle difficilmente ti porta lontano.

E poi come ignorare la poesia infinita di questo rock marginale, di base, fatto di spostamenti delle scatole nere nei luoghi dei concerti -per lo più improbabili e improvvisati-, degli amici convocati a forza al concerto (se suonano poi andrai tu a sentire il loro), del "finalmente il palco!", della felicità di una batteria che pesta alle tue spalle in una cover di Queen Bitch, mentre l'amplificatore trasferisce nell'aria col colore elettrico della furia le strutture create dalle tue dita, trasformandole da piccoli gesti silenziosi tracciati sul manico dello strumento nella grinta di un suono che, miracolo!, sembra quello dei dischi che hai adorato?

Anche la fuga è uno stato mentale, e nemmeno obbligatorio: può tradursi in uno sguardo diverso alla cittadina in cui vivi tutto sommato bene, perché riesci a goderne i pregi e a superarne i difetti. Può bastarti quell'attimo davanti al pubblico ogni tanto senza dover vendere per forza milioni di dischi o andare in città (magari a rischiare il destino di Syd Barrett...).

E quando la sera dopo vedo il gruppo dei nostri amici che, dopo aver -guarda caso- aperto il concerto proprio con Ziggy Stardust, radunano sul palco tutti i membri dei loro vari gruppi per una jam finale, quando vedo il secondo batterista che si mette in piedi accanto all'altro e comincia a pestare selvaggio sul timpano l'attacco di Sympathy for the Devil come se col tam-tam chiamasse a raccolta tutta la giungla, non sono più da nessuna parte, tra le scatole nere e le colline non c'è più nessuna differenza, e in testa cominciano a risuonarmi le parole di un'altra canzone: Hey hey, my my...

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