giovedì 4 febbraio 2010

Pennac: resoconto di un incontro col pubblico

Tra le mille cose per cui si può usare un blog questa non mi era ancora venuta in mente.

Anni fa (parecchi) andai in Campidoglio, credo presso la sala della Protomoteca ma non ne sono sicuro, ad assistere ad un incontro tra Daniel Pennac e il pubblico.
Naturalmente assistetti a poco: arrivato lì la sala era già piena, e io e altri fummo fatti accomodare in una saletta vicina nella quale c'erano delle casse acustiche che diffondevano almeno l'audio dell'incontro.
Non ricordo come ebbi l'idea di prendere appunti, ma l'ho fatto.
Certo, non è una trascrizione fedele: sono i miei appunti di quello che diceva l'interprete di Pennac, tra lo scrittore e voi ci sono almeno due filtri; e per di più in un paio di punti gli sono stato poco dietro, ho ricostruito.
Però è una testimonianza, ciò che diceva era interessante, quindi divulgo.
Buona lettura.

Appunti dell’incontro con Daniel Pennac, Roma, Dicembre ‘95.

Daniel Pennac: Ho iniziato facendo satira politica, poi un saggio, un po’ come Bulgakov; poi ho deciso di rompere con la priorità data al senso e di iniziare a raccontare storie: non potevo credere che nessuno, neanche gli intellettuali, avesse più voglia di ascoltare storie.

Intervistatore: Come mai un buono assoluto? Perché ha scelto un Malaussène come protagonista, cioé un buono assoluto? Pennac è un autore straordinario e coraggioso.

D.P.: Non sono un autore straordinario, l’altro giorno alla radio un critico stava dicendo “Non lo reggo proprio Pennac, è un coglione”, con una veemenza che gli faceva onore. Per quanto riguarda Malaussène, è la conseguenza dell’invenzione delle professioni, e viene giudicato per quello che fa. Il capro espiatorio ha una funzione sociale; io mi sono detto che un capro espiatorio unico, salariato, sarebbe più economico. L’idea viene da un libro del semiologo Renée Girard e l’ho caricata un po’. Poi da un’idea é diventata un romanzo. Céline ha detto che se alla fine della scrittura del romanzo l’idea da cui è nato è ancora lì, il romanzo é un fallimento.

Int.: Malaussène non esce mai da Parigi: potrebbe vivere in un’altra città, tipo Roma?

D.P.: Penso di sì, Malaussène è il prodotto di una città; io vivo a Parigi e scrivo lì. Se fossi stato romano M. sarebbe stato romano, e così via. Il fatto che voi siate qui dimostra che avrebbe potuto essere romano.

Int.: La saga di Malaussène sta finendo: non sono d’accordo!

D.P.: I critici che mi odiano mi fanno onore, perché vuol dire che sono diventato la ragione d’essere di qualcuno. Sulla fine di Malaussène ho un argomento: non si può trasformare un capro espiatorio in una gallina dalle uova d’oro.

Int.: Malaussène è già morto, in fondo; il problema è il figlio, Signor Malaussène, che promette bene.

D.P.: Riguardo alla “Prosivendola”, una signora mi ha scritto: “Ho letto il libro fino a pagina … (dove Malaussène viene apparentemente ucciso): dopo quello che lei ha fatto non potrò più essere sua lettrice”. Poi, dopo tre settimane mi ha riscritto dicendo di considerare nulla la sua lettera precedente perché una sua amica le aveva detto che Malaussène era vivo. Non è una tragedia che Malaussène finisca: in fondo finisce con una nascita, come nella vita. Il motivo è che mentre scrivevo “Il paradiso degli orchi” ho avuto l’idea de “La fata carabina”, mentre scrivevo “La fata…” ho avuto l’idea de “La prosivendola”, eccetera eccetera; mentre scrivevo l’ultimo ho avuto altre idee e voglio portare avanti quelle.

Int.: Malaussène aveva la caratteristica di essere sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato. Suo figlio nasce in un obitorio: è ereditario il destino?

D.P.: Malaussène di ciò ha paura, dice che i capri espiatorii andrebbero castrati. E’ tipico degli uomini porsi problemi metafisici sulla procreazione; poi si radunano nelle case e costruiscono le bombe. Le donne sono più sagge, sopravviviamo grazie a loro.

Int.: Se hai un idolo, qual è? Cosa consigli come lettura buona e avvolgente?

D.P.: A queste domande semplici è difficile rispondere. Non amo gli idoli; ho amici, una moglie, non ho idoli. Per la seconda domanda, Johnathan Coe, “La famiglia Winshaw”. Struttura comica, ma perfetta. In confronto Malaussène è un manuale di razionalismo.

Int.: Modelli letterari?

D.P.: Johnathan Coe, anche se non lo sapevo ancora.

Int.: Conosce Rodari?

D.P.: No, ma tutti i bei libri che non conosciamo abbelliscono il nostro avvenire; ad esempio per voi Johnathan Coe…

Int.: Tornando ai modelli?

D.P.: E’ difficile, perché leggiamo, leggiamo, e tutto crea una base da cui nasce qualcosa. E’ più interessante vedere cosa si fa quando si ha voglia di leggere e si è già letto Johnathan Coe, per cui bisogna aspettare. In quei casi rileggo Shakespeare, anche se in modo stupido perché penso sempre che Desdemona ce la faccia. Leggo anche le novelle di Checov.

Int.: Un biglietto con una domanda dal pubblico: “Siamo contenti che Pennac sia a Roma, ma dov’è Julie Corrençon?”

D.P.: Riguardo a Julie ho già spiegato che non faccio autobiografia, te le devo dare? Quando uno crea una donna che piace, tutti pensano che l’autore stia parlando della propria. Julie è un archetipo: è una giornalista militante, moralista. Malaussène però la commuove, lui e questa famiglia, e anche Malaussène è attratto dall’umanità che vede in lei e che cerca di aumentare.

Int.: La traduttrice italiana?

D.P.: Ne sono contento, i Malaussène sono difficili da tradurre, alcune cose sono impossibili. Jasmine si è presa la libertà di di trasporle in un linguaggio che le rendesse, senza chiedermelo; e questo è possibile conoscendo la lingua d’origine, ma anche quella in cui si traduce. Il successo di questi libri in Italia è dovuto anche all’ottimo italiano delle traduzioni.

Int.: Il tuo rapporto con Benni?

D.P.: Devo alle traduzioni di Jasmine il fatto di essere qui, ma devo a Benni il fatto di essere pubblicato da Feltrinelli.

Benni ha a casa un trofeo, una testa di renna con grandi corna, in plastica: è una sua caricatura, c’è tutto lui. Lo conosco, ho letto in TV la novella del Bancomat ribelle. Amo questo tipo di umorismo acido.

Int.: Che vuol dire “La morte è un processo rettilineo”?

D.P.: Per rispondervi, vediamoci alla mia morte: non sarò un agonizzante esemplare perché mi arrabbierò, ma in quel preciso momento avrò la certezza che la mia vita è stata un processo rettilineo.

Int.: Il fatto che suo babbo fosse un militare ha influito sulla creazione di Belleville?

D.P.: Mio padre era un militare particolare, un sognatore; per questo non ho pregiudizi sui mestieri. Era una persona speciale. Una volta venne un suo sottoposto a dirgli “Il soldato XY chiede di essere esonerato dal servizio poichè affranto per la dipartita della consorte”; e lui “Ma che significa? Richiesta respinta!”; poi ci ripensò e disse “Ma che significa ‘affranto’?”; e il sottoposto “‘Dispiacuto’, Signore”; “E ‘Dipartita’?”; “‘Morte’, Signore”; “E ‘Consorte’?”; “‘Moglie’, Signore”. E lui “Ah, ma allora non è affranto per la dipartita della consorte, è dispiaciuto per la morte della moglie: permesso accordato”. (L’aneddoto l’ho trascritto a memoria, non è riportato fedelmente parola per parola; qualcosa è andato perduto. Il senso e la struttura erano più o meno questi, comunque)

Int.: Il nuovismo? Il nemico di Malaussène è Saint-Claire che è nuovo in tutto; lui disprezza tutto quanto è nuovo, ama i vecchietti.

D.P.: Non disprezza il nuovo, ma l’uso che se ne fa. Un sociologo inglese, in un libro intitolato La Tradizione del Nuovo ha detto che il nuovo è la più vecchia delle tradizioni. Mi danno fastidio le persone sciocche che si buttano a capofitto nel nuovo non capendo che è appunto la più vecchia delle tradizioni; come i dirigenti che cacciano il personale per lasciare un’impronta e invece creano disoccupazione.

Int.: Non c'è troppa attualità nell'ultimo?

D.P.: Si vedrà tra 30 anni, se sarà ancora letto, se l'attualità che c'è nel romanzo lo danneggia o no. Lo scrittore si nutre di memoria ma anche di attualità. E' difficile capire cosa invecchia in un libro; in Gide lo stile, in Proust nulla, in Joyce nemmeno; riguardo a Shakespeare le commedie sono più difficili da leggere nonostante facciano meno riferimento all'attualità.

Int.: Uno scrittore si nutre di tutto; oggi ci si confronta con molti mezzi di comunicazione: c'è chi esalta la differenza della letteratura e chi mischia tutto e con tutto si confronta. Pennac si confronta con tutto: cinema, fumetti, ecc…

D.P.: Credo che il romanzo rimanga lo strumento più duttile per percepire la realtà: per il romanzo bastano penna, carta, e il mio sapere, questa è la materia del romanzo. Ci sono due scrittori, Piccoli e Benacquisto, che da giovani non hanno mai letto libri, guardavano la TV, che in questo caso stranamente non ha fatto danni, e l'immagine ha creato due romanzieri. Sono prudente qundo si deve fare un confronto tra immagine e parole.

Int.: Come mai tutto questo giocare coi corpi? In Signor Malaussène c'è del … "cannibalismo eucaristico"?

D.P.: Riguardo al cannbalismo, non siamo più cannibali non perché siamo migliorati noi ma perché è migliorata la cucina. Il senso di minaccia che c'è sulla famiglia Malaussène c'è perché il tempo passa e si è portato via alcuni miei amici; per cui cerco di scherzare sui corpi, sui medici; la classe medica è l'ultimo luogo ancora antropofago, basta pensare al traffico d'organi, al sangue infetto, con un ministro in Francia che si è detto responsabile ma non colpevole. Nella prosivendola mi chiedevo come avrebbero reagito le cellule del corpo alla morte delle cellule cerebrali: questo cervello centrismo, franco-centrismo, euro-centrismo… (qui finiscono gli appunti; l'ultima frase raccolta, fuori contesto, è..:) …il telefonino è metafora del cordone ombelicale.

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